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Dal vangelo apocrifo di Luis Nazario da Lima Ronaldo

Milano, 27 luglio 1997. Una fiumana di ferventi religiosi di credo nerazzurro, sfidando il caldo illegale, ha intasato via Durini sotto la sede dell’Inter. Tutti accorsi per rendere omaggio a Luis Nazario da Lima Ronaldo, colui che stava riscrivendo, per sempre, i comandamenti del calcio moderno. Ad un tratto da un piccolo balcone si è palesata una sagoma i cui contorni erano illuminati dai raggi del sole battente. Aveva i colori, i tratti e il cranio nudo di un monaco tibetano, gli incisivi particolarmente protesi a introdurre un sorriso luminoso, un orecchino al lobo sinistro e una camicia a quadri indossata con nonchalance, sicuramente per confondere i fedeli su quale fosse realmente la sua missione. Un bonzo travestito da guardaboschi.

“Dadado” Luis Nazario da Lima

Nei giorni le informazioni sono corse leggere di bocca in bocca e quella macchietta gioiosa ha preso sempre più le fattezze di un eroe omerico. E’ nato il 22 settembre 1976 a Sao Bento Ribeiro al 114 di rua General Cesar Obino, un quartiere povero nella zona nord di Rio De Janeiro. Il papà di Ronaldo, Nelio non c’era quasi mai. Aveva sposato la signora Sonia ma la compagna reale era una bottiglia di cachaça. E’ stata propio la mamma a scegliere il nome Ronaldo in onore del medico aitante che lo aveva fatto nascere. Di lei il nostro “Dadado”, come lo aveva chiamato il piccolo fratellino Nelinho non riuscendo a pronunciarne il nome, ha la stessa risata calda e rasserenante.
E’ stato il suo primo allenatore e Pigmalione Jairzinho a fiutarne le sconfinate qualità strappandolo al fustal, dove era nato portiere, per schierarlo attaccante nell’undici del São Cristovão. Là, tutt’oggi, nel campo centrale campeggia la scritta “Aqui nasceu o Fenomeno”. Qui è nato il Fenomeno.

Il Fenomeno

In breve tempo “Dadado” è diventato “O Fenomeno”, grazie anche al trasferimento al Cruzeiro che lo ha trasformato in un meccanismo perfetto. La funambolicità chirurgica dei movimenti con ambo i piedi è stata una dell’eredità più pregiate che il calcio a cinque ha lasciato a Ronaldo. Il brasiliano ha saputo anche ergere intorno al suo tempio una struttura muscolare fuori dal comune, sposata con la capacità di accelerare fino ai 30 km/h curando comunque il particolare. Qualità queste che non sono passate inosservate agli occhi di Inter e PSV. Proprio quest’ultimi sono riusciti a conquistarsi le delizie del giovane Ronaldo, fresco campione del mondo ad USA ’94.

Luis Nazario da Lima Ronaldo, Eindhoven: quadricipiti, gol, quadricipiti

Ad orchestrare il trasferimento del ’94 nel Brabante sono stati due bancari carioca cacciatori di talenti: Alexander Martins e Rinaldo Pitta. “Il gatto e la volpe” era il loro pseudonimo a causa dei numerosi illeciti commessi in carriera costatigli anche il carcere, nonostante ciò hanno accompagnato per gran parte della carriera Ronaldo.
Eindhoven era stata consigliata al Fenomeno da Romario come unica fonte a cui la punta brasiliana doveva abbeverarsi per ambire ad essere il migliore. L’idioma sconosciuto, il freddo glaciale dei Paesi Bassi e una città tutt’altro che dissoluta hanno fin da subito ingrigito il cielo del cuore soleggiato di Ronnie. Giorno, dopo giorno il brasiliano ha imparato a sposare la tecnica con l’intelligenza tattica del calcio europeo. Tutto ciò gli ha permesso di segnare 55 gol in 56 partite acquisendo i fondamentali senza le pressioni che avrebbe avuto in qualsiasi altra parte del continente. Inoltre l’Europa viveva momenti concitati a causa della recente fine della Guerra Fredda e dell’inchiesta “Mani pulite” che stava riscrivendo le sorti dell’Italia, orfana del suo Presidente del Consiglio Craxi fuggito ad Hammamet. Nel mentre la struttura fisica di Ronaldo è cresciuta in modo direttamente proporzionale al suo talento e, anche a causa di questo repentino aumento di stazza, il suo corpo ha mostrato le prime crepe provocandogli sofferenze ai tendini e ai legamenti del ginocchio destro il cui quadricipite era troppo sviluppato.

Dalla lettera di Luis Nazario da Lima apostolo

Il mito di Ronaldo stava superando i confini olandesi entrando prepotentemente nelle case degli amanti del calcio. Ormai Eindhoven era un terreno evangelizzato, doveva catechizzare altre lidi. Ancora l’Inter si era avvicinata al Fenomeno sfruttando il diritto di prelazione conseguente alla cessione di Jonk, ma i dubbi sulla tenuta atletica già precaria di Luis Nazario hanno messo in discussione la riuscita dell’affare. Tant’è che il PSV lo ha ceduto al Barcellona per 30 miliardi di pesetas.
Qui il Fenomeno è diventato il prototipo del calciatore del terzo millennio. Le sue gesta erano degne di un vangelo apocrifo: in un amen scattava, dribblava e segnava ovunque. Il tutto con raffinatezza e risolutezza sempre sorprendenti degni dell’habanera della Carmen di Georges Bizet.

In maglia “blaugrana” la stagione 1996-1997 è stata vincente sotto ogni profilo. Coppa delle Coppe, Coppa di Spagna e titolo di “Pichichi” (capocannoniere) sono alcuni dei premi conquistati da Ronaldo e la sua compagine. Il tutto non temendo le cosce ipertrofiche del brasiliano, ormai sempre più coccolate visto che erano i serbatoi della sua potenza, nonché il suo tallone d’Achille. Il gol contro il Compostela del 12 ottobre 1996 ha permesso a Ronnie di svestire i panni di fuoriclasse futuribile per indossare quelli di campione di calcio. E’ stata una delle più autoritarie dichiarazioni di supremazia fisico – tecnica mai viste su un campo di calcio. “Per fermarlo bisognerebbe sparagli”: aveva dunque ragione Miguel Lotina. A fine stagione sono stati 34 gol in 37 partite. E se il rapporto con i tifosi era ottimo, quello con il presidente Nuñez pessimo. Motivo sufficiente per andarsene. Barcellona non meritava più un messia come lui.

Amala Fenomeno, amala!

Tra i due litiganti si è inserita nuovamente l’Inter pronta, dopo due corteggiamenti incompiuti, ad affondare il colpo. E così, nell’estate del 1997 i pretendenti al ruolo di centravanti nerazzurro erano molti, da Inzaghi a Bierhoff fino a Batistuta. Ma alla fine il 20 giugno 1997, grazie ad un blitz dell’allora ds nerazzurro Mazzola, Ronaldo ha firmato per i nerazzurri e non per la Lazio che si era caparbiamente inserita nella trattativa. Cifre da capogiro: 48 miliardi ai catalani, sei miliardi e mezzo di lire annui per il calciatore. Ronaldo è diventato un nome che valeva come una dichiarazione di intenti, rafforzato sempre dalle frase: “il Fenomeno, quello vero”. Un extraterrestre di ritorno dal futuro per dettare le nuove leggi del calcio che sarà, forte anche del Pallone d’Oro appena vinto. Purtroppo la Serie A di fine anni ’90 non riempiva gli occhi di luce divina e giocate spettacolari, bensì di tatticismi volti ad un calcio brutto, sporco e cattivo che mal si sposava con il più grande interprete della materia al mondo. Nonostante ciò il brasiliano ha catechizzato il mondo del pallone, diventando il leader di una squadra di straordinari gregari guidata a suon di gol e tocchi sopraffini verso lo Scudetto del 1998. Sogno inseguito, purtroppo accarezzato e infine svanito come il più inquietante degli incubi a causa di alcuni passi falsi imperdonabili e di quel risultato tutt’oggi discusso contro la Juventus.

“Mi sento derubato”

Il 26 aprile 1998 è entrato nella storia degli almanacchi calcistici per ciò che ha rappresentato e per le polemiche conseguenti anche in Parlamento. Allo “Stadio delle Alpi” la Juventus si era presentata con un vantaggio di due punti dall’Inter a quattro giornate dal termine del campionato e con una tenuta atletica superiore ai rivali. Dopo il vantaggio bianconero con Del Piero, la squadra ospite è salita in cattedra affidando al solito Luis Nazario da Lima Ronaldo le speranze di rimonta. Su una ripartenza lampo nerazzurra Iuliano ha atterrato in area il Fenomeno con uno dei più classici falli di ostruzione. L’arbitro Ceccarini ha ritenuto inappropriato definirlo tale e pertanto non ha fischiato rigore. A fine partita la Juventus è salita a cinque punti di distacco sui nerazzurri, veleggiando verso il tricolore. Per Ronnie è stata la prima grande delusione. “Mi sento derubato. Il calcio è allegria se si gioca 11 contro 11, non 11 contro 12. Ma il mondo ha visto e ciò resterà nella storia”. Per fortuna ad addolcire l’amaro calice nerazzurro ci penserà la conquista della Coppa Uefa contro la Lazio pochi giorni dopo.

Il conclave: quando Francia ’98 non elesse il Fenomeno

Ronaldo si è affacciato ai Mondiali di Francia ’98, là dove poche settimane prima aveva alzato una coppa da protagonista, con la certezza universale di vincerlo senza troppo sudare. Mai credo è stato più sovvertito. Luis Nazario è entrato Papa al conclave calcistico mondiale ed è uscito diacono, neanche cardinale. Era un brand su cui l’interesse mediatico era spasmodico, incontrollato e alle cui azioni e intenzioni veniva attribuito un peso sproporzionato alla sua età. Tutto ciò, negli anni, ha contribuito a logorare le solide fondamenta del suo tempio. Quella kermesse ha riconsegnato un Ronaldo trasformato nel fisico e nello spirito per sempre. Il vero Fenomeno è morto la sera del 12 luglio 1998. Sì perché, poche ore prima della finale contro la Francia, il brasiliano ha avuto una, tutt’oggi, indefinita crisi che lo ha portato ad uno stato di coma tale da non riuscire a definire se fosse ancora vivo. Un vero e proprio tsunami per la religione calcistica paritetico alla morte di Lucio Battisti, Dio della musica leggera italiana, il 9 settembre successivo. Certo è che la carriera del fu Dadado, nonostante gli altrettanto decisivi infortuni subiti, è comunque stata straordinaria. Vanta infatti numeri che superano il limite umano ma che non hanno più avuto, da quella notte, i connotati dell’alieno Tanto da far risultare il suo percorso, a tratti, incompiuto.

Il crollo del tempio

Il destino, che Ronaldo per anni aveva dribblato, nei nove mesi successivi gli ha presentato il conto. Prima con la lesione del tendine rotuleo a novembre 1999, durante Inter – Lecce. Poi ad aprile 2000 quando contro la Lazio la freccia avvelenata della sorte ha rotto completamente i tendini del suo ginocchio. “È un mondo difficile… è vita intensa. Felicità a momenti, e futuro incerto…”, mai versi si sono dimostrati più appropriati di quelli che Tonino Carotone intonava in quel periodo nella sua “Me cago en el amor”. Ronnie è tornato soltanto a settembre 2001, pochi giorni prima che la tragedia del World Trade Center di New York consegnasse al mondo la coscienza del contingente, dell’effimero, della fragilità. Moratti ha atteso Ronnie curandolo come un figlio e costruendogli intorno una rosa ogni anno qualitativamente superiore. Questo per non costringerlo più agli straordinari, ma soltanto a divertirsi. Tra i tanti, gli acquisti di Roberto Baggio nel ’98 e di Christian Vieri nel ’99. Loro avrebbero dovuto guidare l’Inter verso trionfi imperituri. Purtroppo i tre insieme hanno giocato pochi scampoli di partite. Gli echi di quante coppe avrebbero potuto vincere insieme si sprecano, ancora, nei bar meneghini.

“Non ci sarà un altro amore”

Il 5 maggio 2002 è la data incisa sulla lapide che ha segnato l’epilogo della storia d’amore a tinte nerazzurre per Ronaldo. Fatale il rovinoso 4-2 per la Lazio con il tricolore che, ancora una volta, ha sterzato al casello verso Torino. I biancocelesti hanno scandito tre momenti focali per il “Fenomeno”: l’apice, il crollo e l’addio.
Dopo i Mondiali di Korea e Giappone vinti da protagonista col Brasile, si è accesa la miccia di un’esplosiva polemica tra Cuper e Luis Nazario da Lima Ronaldo, campeão verdeoro che non ha accettato di essere uno fra tanti. Lui che voleva essere il primo. Così Massimo Moratti, messo alle strette dal suo pupillo, ha scelto di tenere il tecnico lasciando così partire “Ronnie” per 52 milioni di euro verso il Real Madrid. In Spagna ha poi vinto e segnato molto ma il suo sorriso, di stagione in stagione, ha perso lucentezza quasi come se si fosse perso alla ricerca della felicità. No “non ci sarà un altro amore” così, parafrasando i versi del successo che Gino Paoli cantava nei cd dell’epoca.

Obrigado Fenomeno

Come un semidio omerico Ronaldo è stato epico, tanto nei trionfi quanto nelle cadute. Ha vinto tutto, entusiasmato trasversalmente i tifosi del globo diffondendo una religione di credo unico per tutti. Luis Nazario da Lima Ronaldo, come il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, è sempre andato incontro al mondo a braccia aperte. Tanto da farne un’esultanza e una rappresentazione di ciò che per larghi tratti ha rappresentato, con estrema umiltà, per la fede calcistica. Oggi beneficiamo di ben altri predicatori e Dei di “Eupalla”, ma la luce pure e priva di artifizi del “Fenomeno, quello vero” non ha eredi degni. Del resto aveva ragione lui: “Si diventa bravi non tanto per talento o per denaro, ma per fame e amore per ciò che si fa”. Obrigado Fenomeno!

Grazie alla penna di CasaBaggio.

 

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