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Montella, Aeroplanino in volo su Marassi

Fateci caso: ha sempre la battuta pronta. E’ la traccia più evidente delle sue origini. 

Per il resto l’Aeroplanino Montella da Castello di Cisterna, 7500 anime dopo la ricostruzione a seguito del terremoto dell’Irpinia, è sempre stato introverso e riservato. Altro che pizza e mandolino.
A Castello invece il colore è il celeste: è dipinto sulle facciate e svolazza nelle bandiere del Napoli appese ai balconi. In fondo alla traversa di via Nove Maggio – svincolata da ogni nesso con l’artista celato nell’anonimato napoletano Liberato – una palazzina su tre piani, due auto parcheggiate davanti, una piallatrice e una sega elettrica. Il falegname Nicola Montella è a lavoro con i suoi attrezzi.
Quegli stessi arnesi che una volta messi in mano al figlio la prima volta suscitarono un ‘mo’ e mai più‘. E’ deciso. Vincenzo è mancino, tecnico, piccolo, rapido, eppure il suo idolo non è Diego, ma Marco van Basten, un gigante di quasi un metro e novanta che incanta l’Europa segnando in tutti i modi e che arriverà nel Milan di Berlusconi di lì a poco. Comunque sia il talento c’e, non si discute. Quindi dopo essersi messo in luce sul campetto del paese in pieno maradonismo, arriva la chiamata dell’Empoli e nonostante la famiglia prema per non farlo partire vista l’età troppo giovane, l’Aeroplanino Montella a dodici anni compiuti decolla per la Toscana.

Dodici anni non sono pochi se sai già quel che vuoi.

A Empoli i ragazzi venuti dal Sud alloggiano da una signora che fa loro da chioccia, facendogli pesare il meno possibile la lontananza dalla famiglia. E così anche Montella dormiva a casa dell’Ernestina. E di nascosto prendeva il treno con Antonio Di Natale quando scappava in Campania scosso da crisi di malinconia che solo un tredicenne con il muso a mollare il calcio per lontananza dalla famiglia può avere.

Montella, l’Aeroplanino, invece è sempre stato più maturo della sua età. Anche da ragazzino era riservato e dava poca confidenza. Ciuffo ribelle da una parte e sguardo pure. Vita monotona ma con la testa giusta: casa dell’Ernestina-allenamento-casa dell’Ernestina.

Un pischello che ragionava già da calciatore adulto, con un logicismo quasi gelido.

Le stagioni passano, lui cresce. Le prime vere occasioni gliele dà Francesco Guidolin che lo schiera nelle ultime sette partite e lui fa quattro gol. Finalmente.

E invece forse no, perché si rompe il perone dopo poche partite della stagione successiva e poi una miocardite lo lascia per mesi nella paura di non poter giocare mai più. Lui non si scompone e continua ad allenarsi.
Intanto l’Empoli va male e a salvarlo ci sta provando Luciano Spalletti. Montella torna in campo per lo spareggio salvezza il 5 giugno del 1994, a 20 anni: è fuori da quasi due stagioni.
Non segna, però gioca bene e l’Empoli se la cava.

Sarà ancora una C1, stavolta per Vincenzo, l’ultima.

Zena, atto I: la B e Wembley

17 gol in 30 partite convincono il Genoa a reclutarlo per la scalata della Serie B. Poi diciamocelo, Marassi a Vincenzo era sempre piaciuto. Col gioco di Gigi Radice va a nozze grazie alla sua velocità e al suo fiuto per il gol oltre al lavoro sporco per la scquadra nel creare spazi.

Nella prima e unica stagione col Genoa, segna 21 reti in 34 presenze, conquistando anche la vecchia Coppa Anglo-Italiana a Wembley. Qualcosa di imponderabile oggi. La formula del torneo è simile ad un sogno hipster tanto è complicata, il naufragio della competizione sarà dovuto al disinteresse del pubblico, dei media e delle stesse squadre partecipanti. Applausi.

Zena, atto II: Marassi è sempre più Blu (cerchiato di Blu)

Nel 1996 torna ad Empoli dove è di passaggio, infatti non vestirà più la maglia azzurra né quella del Grifo perché la Sampdoria lo ha acquistato per circa 8,5 miliardi di lire.
In quella banda figurano Roberto Mancini, Sinisa Mihajlovic e Juan Sebastián Verón. E lui ha 22 anni ed esordisce in Serie A.

In un torneo di quella caratura, ne fa 22 di reti nella prima stagione sotto la Lanterna doriana. Giù il cappello, marinai. Ciò nonostante la Samp non se la passa benissimo, forse complici i repentini cambi di allenatori che si sono seduti sulla panchina blucerchiata: da Eriksson a Boskov, passando anche per Spalletti suo vecchio mentore ad Empoli. Così la Samp edizione ’98-99 finirà in Serie B.

Quando l’ Aeroplanino Montella rubò la numero 9 a Batistuta.

Nel 1999 Zeman allena la Roma e stravede per l’Aeroplanino blucerchiato, tanto da convincere il presidente Sensi a sborsare la bellezza di 50 miliardi pur di portarlo a Trigoria. Ma quando arriva nella Capitale, Montella sulla panchina si trova non più il suo “sponsor” boemo, ma Fabio Capello, che sarebbe rimasto lì per altri cinque lunghi anni. Zeman non potè così più allenare il suo pupillo, e Vincenzino perse l’apprendistato alla cattedra di uno migliori maestri del calcio offensivo italiano.

Estate 2000. La Lazio reduce dalla festa scudetto. Il presidente Franco Sensi aveva l’obbligo morale di dover rispondere alla grande ai rivali: c’era solo una via, sborsare una cifra astronomica e comprare Gabriel Omar Batistuta dalla Fiorentina di Cecchi Gori. Nel contratto inserisce una clausola per un problemino risolvibile in due minuti: la maglia numero 9, fino a quel momento dell’Aeroplanino Montella, dovrà spettare all’argentino. Il legittimo proprietario però, non ci sta. Si dice che l’affare rischiò addirittura di saltare per quel braccio di ferro. Alla fine sarà Batigol a piegarsi, virando sulla 18. Con ogni probabilità questo è l’aneddoto più calzante per capire una figura come quella di Vincenzo Montella: dietro al sorriso e alla calma spregiudicata, c’è un carattere da sergente di ferro.
Del resto, un attaccante da 0,50 gol a partita l’etichetta di egoista dovrà pur appiccicarsela sotto al numero di casacca. Con una determinazione feroce.

Il Tridente e le bottigliette d’acqua.

Nonostante ciò, nel 2001 la Roma grazie ad un tridente tanto nostalgico quanto spettacolare, arriva al suo terzo scudetto della storia. MontellaTottiBatistuta. Quei tre là davanti si intendono a meraviglia, forse un tridente così in Italia non si era mai visto e 41 gol in 3 arrivano con una facilità disarmante.
Nella stagione successiva per il numero 9 arriva addirittura un record tutt’ora imbattuto: realizza 4 reti nel derby capitolino disintegrando la Lazio per 5-1. Testa bassa e pedalare. Se potesse scegliere, probabilmente Montella giocherebbe a calcio con un profilo anonimo. Pure la sua esultanza, vista da questa prospettiva, ha una funzione protettiva.
Gli consente di controllarsi nei momenti di maggiore gioia, sua e collettiva. L’Aeroplanino gestisce la sua emozione, tiene a distanza quella dei compagni, allargando le braccia e ondeggiando. C’è come uno schermo protettivo tra lui e il caos che gli scoppia attorno.

Per vederlo fuori controllo basta minare la ragione stessa del suo essere lì: non farlo giocare. Fabio Capello in questo sarà un asso e arriveranno a liti e scaramucce che culmineranno in un Napoli – Roma: il tecnico gli ha preferito di nuovo Delvecchio, così come era già accaduto con il Milan il turno precedente. Ancora in panchina, ancora una volta fuori a masticare amarezza, l’Aeroplanino entra, Capello ha appena deciso di chiedergli un nuovo miracolo. In quel momento scarica tutta la sua rabbia mandandolo a quel paese: la faccia rivolta al campo, a un passo dai microfoni di Stream. Gli scaglia contro una bottiglia di plastica, in diretta “Ma vaffan**lo, sto’ deficiente”. Capello replica deciso, battibeccano. “Pezzo di mer**”, lo apostrofa Montella. Poi separati in casa per due stagioni. 

Zena, atto III: l’ultimo volo dell’Aeroplanino Montella in Liguria

Dopo sette stagioni e mezzo a Roma decide di cambiare aria, migrando in Inghilterra, ma il prestito al Fulham è avaro di soddisfazioni e l’Areoplanino decido così per un ritorno alla Samp insieme a Cassano. Ha ormai 33 anni, è maturo e i passaggi non li suggerisce ma li detta e allora sigla subito all’esordio col Siena il 26 agosto 2007.
Assist di Sergio Volpi, l’eterna metà di una figurina introvabile. Infine, dopo esser tornato a Roma per la stagione 2008, Montella appende gli scarpini al chiodo nel luglio del 2009.

Da anni mancano attaccanti come lui. L’ultimo vero centravanti italiano. Alcuni gli si sono avvicinati ma mai saranno come l’Aeroplanino Montella. Quello scugnizzo che ogni volta che la buttava dentro spiccava il volo, tra i cieli di Marassi, di Empoli, di Roma e chissà quanti altri.

 

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