Vai al contenuto

MANIFESTO

LA FESTA È (IN)FINITA

Il credo di Tacchettee inizia dalla fine. E cioè, da quando passata la sbronza culturale dei Settanta e gli strascichi degli Ottanta, sarebbe toccato al successivo decennio il compito di sopire le coscienze caleidoscopiche imboccandole verso un hang over di realismo. La globalizzazione, il golden gol, l’affievolirsi delle sottoculture. Insomma: il mondo cambia insieme al synth dei Pet Shop Boys in Paninaro. Delle pinte del quinto Beatle George Best e dei Campari della Milano da bere sembra non debba rimanerne che il fondo.

E invece i ’90s saranno un colossale hang on.

I '90s, UNO STATO MENTALE

Cosa scegliere: Fiorello e il Karaoke o Ambra e Boncompagni di Non è laRai?
Tamagochi o Furby? Le televendite del Baffo o l’omicidio di Laura Palmer?

E invece le piazze estive del FestivalBar piene e i cd venduti in spiaggia?
In quegli anni a livello musicale una scena frizzante e davvero di tutto:
si va dal britpop gallagheriano dei duecentocinquantamila di Knebworth
agli italianissimi 883 da (stesso) bar, passando per gruppi più alternativi
e più fedeli alla linea come i CCCP di Zamboni e Giovanni Lindo Ferretti.

Felicitazioni. Felicitazioni. Ma alla fine, c’è un qualcosa che al di sopra di tutto.
Il Calcio di quegli anni, capace di evocare in chiunque un nostalgico piacere.

L’OLIMPO VERDE

Tacchettee è una lettera d’Amore ai ‘90s. Alla scena culturale e in particolare, al lato romantico del calcio pre-moderno di quegli anni. Con fenomeni di un metro e settanta che nascono nella pampa di Lanús come tra i vicoli di Bari Vecchia. Una spanna sopra la normalità. Diversi dagli altri ma tremendamente umani per qualche loro ragione. Persone ancor prima che calciatori. E Tacchettee se li è immaginati ognuno al suo posto, nell’Olimpo Verde.

I RIGORI LI PUÒ SBAGLIARE SOLO CHI LI TIRA

Innamorati dei romanzi calcistici, quelli che non sempre finiscono bene.
Abbiamo fatto tardi durante le notti magiche di Italia ’90 con uno dei due Totò nazionali. Quattro anni dopo abbiamo deriso il rigore sbagliato da due passi di Adele Ross, regina della Motown, alla cerimonia di apertura di Usa ’94.

Come potevamo sapere che un mese dopo il Divin Codino quel maledetto tiro libero lo avrebbe sparato nel cielo californiano del Rose Bowl di Pasadena?

A Padova impararono la lezione e per quattrocento milioni si assicurarono a fine mondiale le doti di Alexi Lalas e il dubbio di quanto fosse effettivamente un onesto centrocampista piuttosto che una rockstar a stelle e strisce. Indie.

INDIE O MAINSTREAM?

È indie il Trenino di Bari della 1995 di Igor Protti, Miguel Ángel Guerrero e soci.
È mainstream il cost to coast del Presidente Liberiano George Weah del 1996.

Non sempre però il confine è netto. C’è una sottile linea gialla tra i due mondi.
E talvolta indie e mainstream possono sfumarsi.. in miti difficili da carpire:
introvabili come i due che nel ’97 ossessionarono migliaia di collezionisti.

Sergio Volpi e Paolo Poggi non sono mai stati compagni di squadra. Compagni di figurina, quello si. Coinquilini di quella doppia che la Dolber dimenticò astutamente di stampare per l’album-regalo delle gomme.
Con l’avallo segreto dei dentisti. In equilibrio tra culto di nicchia e trauma infantilpopolare, quel ricordo provoca ancora oggi, cullato nella nostalgia, una forma di nostalgico appagamento.

STRACITTADINE

Appartenenza e goliardia, il derby è una sfida tra due anime della stessa città.

A Roma, lazialità e romanità passano dai gesti in campo. La maglietta di Totti vi ho purgato ancora, il pianto di Gascoigne sotto la Nord o il sombrero di Cafù.

A Torino il Derby della Mole ha spesso assunto risvolti sociali. In fabbrica sfottò. In campo sportellate. Il vecchio cuore granata nelle corna di Marco Ferrante. Sponda juventina gente cuore e classe come Ravanelli e Zizou.

All’ombra della Madonnina il derby esce dai confini nazionali. Incendiando e non poco l’atmosfera. Così nell’euro derby milanese ’03 i bengala lanciati dai nerazzurri affossarono la carriera di Dida. L’anno prima Ronaldo – il Fenomeno, piangeva per il tricolore sfumato. Sinceramente dispiaciuti, i cugini rivali.

Il derby non ha età: il primo della Lanterna è datato 1902, quando ancora le genovesi erano tre. Fino ai ’90s, col prato di Marassi conteso da tipi come l’aeroplanino Montella o dalla strana coppia esotica Aguilera – Skuhravy.

Il romanzo evidentemente avvincente, attirava comparse da tutto il mondo.

ASADO, CARNAVAL...

Quella Serie A zeppa di campioni faceva gola.
E se dall’Argentina importiamo l’asado, in quelle stagioni a Parma e Firenze provarono anche con i centravanti. I ducali vincitori della Uefa ’98, LA fantasquadra, l’unica maglia di club baciata dal Valdanito Hernan Crespo.

A Gabriel Omar Batistuta e alla sua “garra” i tifosi fiorentini dedicarono una statua: li ringrazierà a colpi di mitraglia inseguendo invano un tricolore. Quello stesso scudetto scambiato da Edmundo, con i viola campioni d’inverno, con un biglietto per Rio. Giù il cappello O’Animal, au carnaval!

Tango argentino, samba brasiliana, ma anche noi italiani mica scherziamo, un paese nel paese, fatto di squadre e rivalità. Grandi contro piccole.
Adoriamo il campanilismo scellerato. Amiamo l’uso dei dialetti che creano i patronni corviniani, gli sguadwgrrr delneriani o i “mitt a cassan!” nell’esordio di un talento che verrà sprecato. Perché alla fine, cosa c’è di più romantico che bruciare il proprio talento?

LA PROVINCIA CREA DIPENDENZA

A pensarci, qualcosa c’è. Ben lontano da scarpini flo di esterni impomatati.
Più vicino alle origini del gioco, in strada da bambini. Il Calcio in Provincia.

Quante volte giocando per strada la palla finiva sotto un’auto o in un fosso?
Abiti sporchi e paura di tornare a casa. Ma c’è un posto dove la palla rischia al massimo un tuffo. Il 2° stadio d’Italia, l’unico sull’acqua. Il Penzo di Venezia,
la casa della coppia Recoba-Maniero e di una delle maglie più affascinanti…

Quanti gol segnati in zona Cesarini all’oratorio sognando di essere panzer?
Come Bierhoff in Friuli. Arriva in punta di piedi, prima stagione da 17 reti
e chiamata della Mannschaft: finale Europeo ’96, entra gli ultimi 25 minuti.
Da buon tedesco pragmatico, ci mette poco: doppietta e titolo continentale.

Quante esultanze sincere giocando da bambini nei campetti contro i rivali?
Come la carica di Carletto Mazzone verso il settore bergamasco al 3-3…

E ALLORA...

Più di 70 personaggi ti stanno aspettando:

VAI ALLO SHOP